"Ci Vediamo da TE" di Orietta Possanza

lunedì 2 ottobre 2023

La giornata delle Leucemie Ph*

Mai titolo fu più azzeccato per designare la giornata dedicata alle leucemie Ph+ per sottolineare l’importanza del vedersi, quale incontro per la conoscenza, il sapere, lo scambio di esperienze. 

Un incontro amichevole, soprattutto socializzante in cui medici e pazienti raccontano dal proprio punto di vista la propria professionalità ed esperienza per affrontare queste malattie. 

Dal canto mio quale paziente, appena appena paziente, e con una lunga strada da percorrere, mi sono chiesta: perché sono qui? 

E’ una domanda che ha a che fare con quella che tante persone si fanno in caso di diagnosi di cancro: perché proprio a me? 

In effetti, da 9 mesi a questa parte, la mia mente è costellata di perché?

Perché esiste questa malattia, da cosa dipende, ho fatto o non fatto qualcosa per alimentarla?

In questa giornata delle leucemie, tuttavia, molte risposte ai perché l’ho ricevuta. 

La prima, è quella dell’essere “paziente”, termine che deriva dal verbo latino patire, che significa soffrire, sopportare. Un paziente è quindi una persona che soffre, ma anche che ha pazienza. Infatti, da patire deriva anche la parola pazienza. 

Io che di pazienza ne ho avuta sempre molto poca, mi trovo a dover accettare questo nuovo status, questo cambiamento nel mio carattere che in confidenza, non mi fa proprio piacere.  

Non ho apprezzato molto che nella narrazione della propria malattia alcune persone pazienti, si sono presentate con la loro malattia e non con il proprio nome e cognome. Magari anche per la privacy, dire solo il nome sarebbe stato bene.

Tuttavia io sono Orietta Possanza, non sono la leucemia mieloide cronica, mi dicevo durante la stimolante giornata. 

La leucemia mieloide cronica è una condizione, appunto, un momento più o meno lungo della mia vita che con consapevolezza e ahimè pazienza, 

non mi dovrà impedire di continuare la mia vita al meglio, di alimentare i miei interessi. 

 

   Per me è fondamentale non dimenticarmi della mia identità e non identificarmi con la malattia. 

E’ fondamentale per la relazione con il medico, che dovrà comunque confrontarsi con un soggetto sconosciuto - e non solo con quel tipo di malattia che ovviamente conosce benissimo -  ma per il paziente stesso perché la propria personalità, quel proprio modo di essere è indispensabile per affrontare la nuova condizione. 

Certamente ho dovuto cambiare le mie abitudini per gli effetti collaterali della terapia, continuo ad industriarmi a trovare i miei escamotage per rendere gli effetti al minimo, per non farmi rompere troppo le scatole. Immagino che anche per altri sia così.

Perché sono qui? Mi chiedevo, mentre ascoltavo le varie testimonianze.

Magari per impedirmi di negare questa patologia? 

Ma tanto ci pensa essa (la malattia) a ricordartelo che c’è, perché se mi sento stanca mi devo fermare, se questo o quel cibo mi dà fastidio non lo mangio, se mi sveglio con la giornata storta, in verità come altre giornate in passato a prescindere dalla malattia, me la prendo calma, leggo o faccio le parole crociate, o una camminata al parco.  L’importante è non perdere la testa.

Cosa potrei raccontare che possa essere di utilità agli altri? 

E ancora: è il mal comune mezzo gaudio che è di utilità, che dà il senso alla partecipazione? 

Per non perdere la testa, ho passato i primi 6 mesi della diagnosi e terapia a informarmi, a leggere anche documenti scientifici, interviste, video ecc. per conoscere, per non aver paura di sapere, per calmare l’ansia di una “cosa” sconosciuta. 

E dunque, la partecipazione a questa giornata, con le dottoresse che ci hanno fatto il quadro della situazione e altri specialisti che sensibilmente hanno messo a disposizione le loro competenze, ha reso più facile la comprensione, ha dato risposte anche a domande inespresse.

Per paradosso, l’incontro ha fatto in modo che la malattia si allontanasse da me stessa, per essere un fatto biologico, organico, oltreché umano, che la Medicina può e deve contrastare. 

Non penso che una malattia ci possa rendere migliori, o peggiori o diversi; non lo credo perché si farebbe l’errore di dare potere alla malattia di cambiare il proprio modo di essere, la propria identità. Penso invece che bisognerebbe riuscire a togliere alla malattia, qualsiasi malattia, il potere di invadere i tuoi spazi, la tua mente. 

E’ stato difficile, è difficile. 

E i perché aumentano. C’è tanto da fare? Si 

La sanità pubblica è allo sbando? Vero, funziona per le malattie serie, quando sei dentro qualche protocollo, come nel reparto e ambulatorio dell’ospedale Sant’Eugenio nel quale sono in cura.

Tutto o molto si regge sulla volontarietà e sensibilità di alcuni o tanti medici rispetto ad altri? Ancora vero.

Tuttavia se oggi tanti possono avere una aspettativa di vita lunga e in “buona salute”, lo dobbiamo a questa sanità pubblica, alla ricerca anche di nuovi farmaci, ai quei medici e ricercatori che proprio per la loro identità umana e professionale, dedicano la propria a vita al servizio della scienza medica. 

Per il resto bisognerà combattere, alzare la voce, riunirsi in associazioni e creare momenti come questa giornata, pretendere attenzione anche da parte di quei medici poco sensibili, o magari sfiduciati, o incazzati, perché in fondo penso che chi sceglie di fare un mestiere come questo, non lo fa per tornaconto personale, lo fa perché può realizzare sé stesso, perché la riuscita della cura e/o il contenimento o l’uscita dalla malattia è il miglior riconoscimento per il medico, la sua soddisfazione per la vita, nonostante qualcuno dall’alto del suo potere economico e/o politico cerca di distruggere.

E noi esseri umani pazienti dobbiamo dar loro una mano a non farsi distruggere. Forse anche questa è una risposta ai perché.

Altri contributi

Aiutaci a fare di più

  • Bonifico bancario

  • Dona il tuo 5x1000

  • PayPal